Alberto Maisto: “Ricomincio a leggere”.

Alberto Maisto: “Ricomincio a leggere”.

Oggi è sabato 14 marzo, dovremmo essere ancora in inverno, un inverno che quest’anno ha deciso di farci visita solo molto raramente.

Invece la natura ha già assunto l’aspetto della primavera, con i bordi delle strade ammantati dalle spettacolari fioriture del trifoglio e delle margherite di campo, mentre anche le gemme degli alberi da frutto, ciliegi, peschi e albicocchi stanno ormai cominciando ad aprirsi in netto anticipo rispetto alla norma.

In questa situazione climatica la mia abitudine è sempre stata quella di caricarmi sulle spalle lo zaino con tutta la mia attrezzatura fotografica e scorrazzare per la campagna alla ricerca di immagini da aggiungere al mio archivio.

La fotografia appunto: quando qualcuno mi chiede cosa rappresenta per me, la mia risposta è molto semplice. É interesse per tutto ciò che inquadro nel mirino, e cioè, nello specifico, i luoghi della mia infanzia, la natura e gli animali, le persone care e la gente comune, gli oggetti più disparati e gli eventi di ogni genere, tristi o spensierati, in breve tutta quella realtà che gira attorno ad ognuno di noi.

La fotografia è sempre stata la mia grande passione, un’amica inseparabile che mi segue sin dall’adolescenza e che mi ha procurato varie soddisfazioni, culminate con la pubblicazione di diversi libri, alcuni dei quali grazie al mio amico Carlo Delfino, di cui vado particolarmente orgoglioso.

Per tutti questi motivi non ho mai pensato di poter vivere senza la fotografia, anche se questo non significa portare la macchina fotografica sempre appesa al collo.

Significa invece avere la fotografia sempre presente nei propri pensieri, significa avere un mirino virtuale inserito negli occhi e nel cervello e avere la capacità in un qualunque momento di racchiudere dentro i margini di una cornice immaginaria una parte del campo visivo dei propri occhi e pensarlo già trasformato in una immagine fotografica, ancor prima di avere impugnato lo strumento del mestiere, o anche senza impugnarlo affatto.

Inoltre la fotografia ha anche quella capacità quasi magica di afferrare al volo un istante, di fermare ogni singolo momento e renderlo in questo modo eterno negli anni a venire.

Come sosteneva il grande fotografo Henry Cartier-Bresson “le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento”, una sorta di macchina del tempo che trasforma il passato in presente e può conservare l’oggi per il domani.

Invece eccomi qua, non posso uscire, e mi ritrovo a casa ad affrontare questa emergenza sanitaria che ci è piombata addosso come un castigo.

Mi guardo intorno: sono circondato da libri, non faccio altro che accumularne da più di mezzo secolo e lo spazio non basta mai, anche perché di ogni volume sono talmente geloso da non volerci rinunciare per nessun motivo al mondo.

In ogni stanza c’è un angolo riservato, iniziando dalla grande libreria dello studio, che occupa due intere pareti, fino alla camera da letto, alla stanza di mia figlia, alla cucina, con tanti libri di ricette, e persino alla cantina e al garage, dove conservo le enciclopedie a fascicoli acquistate nelle edicole e le annate intere di riviste di fotografia, tra cui la mitica (per me) National Geographic.

Una enorme quantità di carta che mi ostino a voler conservare a tutti i costi. Lo sapevo di possedere tutto questo, non è una novità, ma la fretta che ci coinvolge nella vita di tutti i giorni me lo aveva fatto quasi dimenticare.

E allora, visto che i casi della vita mi danno tutto questo tempo, riscopro quasi con stupore la tranquillità della casa e decido di mettere ordine a questo che, sia pure con un po’ di enfasi, considero un vero patrimonio.

Riprendo in mano i vecchi libri di mio padre, alcuni dei quali con la copertina rivestita con le vecchie pagine della Nuova Sardegna degli anni cinquanta, riscopro i libri della mia adolescenza, Emilio Salgari, Giulio Verne, Mark Twain, e poi quelli della mia maturità, la collana storica edita da Giulio Einaudi, l’opera omnia di Joseph Conrad, il mio autore preferito, e i narratori latino-americani, Garcia Marquez, Sepulveda, Borges… e tanto altro ancora.

E così ricomincio a leggere, seduto sulla vecchia poltrona dello studio, e mi tranquillizzo. Mi mancano tante cose, è vero: oltre alle mie scorribande fotografiche, mi mancano anche le cene con gli amici, gli incontri casuali per le vie della città, il caffè sorseggiato al bancone del bar e mi mancano perfino le code allo sportello della banca e della posta, occasione a volte per scambiare due chiacchiere.

Ma intanto leggo, il tempo passa e alla fine tutto ritornerà come prima.

Tra qualche giorno, o settimana o mese, torneremo a farci prendere nuovamente dall’ansia di fare tutto in fretta, tutto senza soste.

Allora, solo allora, capiremo che questo maledetto Covid-19, tra le tante cose negative, ce ne ha fatto scoprire una positiva: il piacere della casa.

Alberto Maisto

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