G. Antonio Farris: alcune riflessioni sul comparto Agro-alimentare.

G. Antonio Farris: alcune riflessioni sul comparto Agro-alimentare.

Oggi il nostro pianeta, abitato da poco meno di 8 miliardi di persone, a livello alimentare vive una serie di contraddizioni: di fronte a popolazioni che hanno un surplus alimentare ci sono altre che non hanno neanche il necessario.

Infatti, circa 2 miliardi di persone sono in sovrappeso o obese (dati OMS), mentre oltre 820 milioni soffrono la fame (dati FAO) e altri 2 miliardi di persone soffrono di qualche forma di carenza alimentare.

In questa situazione un dato che deve far riflettere tutti è che circa un terzo del cibo che le campagne producono finisce nella spazzatura!

Oggi questa differenze tra chi mangia (anche troppo!) e chi non ha accesso al cibo è ulteriormente aggravata (e si pensa che in futuro peggiorerà ulteriormente se non si attueranno delle corrette politiche a livello globale) dal dissesto ambientale, dal cambiamento climatico e dai numerosi conflitti che a livello mondiale coinvolgono ancora circa 70 Stati.

Un altro aspetto dell’attuale sistema agro-alimentare mondiale, e che ha portato ad un aumento considerevole degli obesi, è l’essersi discostati dall’alimentazione tradizionale a favore di cibi ad alto contenuto energetico (zuccheri e grassi in particolare).

Se poi a questo aggiungiamo la elevata sedentarietà della gran parte delle attuali occupazioni, comprendiamo il perché di questi notevoli squilibri alimentari.

Oggi la gran parte dei prodotti alimentari a livello mondiale è ottenuta nelle grandi pianure europee, americane e cinesi, con tecnologie, molte volte, poco rispettose degli equilibri ambientali e con effetti negativi sugli ecosistemi (eutrofizzazione, riduzione della biodiversità e della fertilità, elevato consumo d’acqua, ecc.) e con un continuo ed inesorabile allontanamento tra i diversi gruppi sociali della filiera alimentare (produttiva e di consumo):

chi mangia un determinato alimento non sa chi lo ha confezionato e trasportato, chi lo ha confezionato non sa nulla della natura e provenienza delle materie prime, chi ha ottenuto le materie prime non sa chi ha prodotto le sementi e i concimi utilizzati, ecc., ecc..

A questo punto, se a livello mondiale non si vogliano creare scenari irreversibili e che a lungo andare potrebbero ripercuotersi negativamente su tutta la biosfera, è necessario ripensare ad una agricoltura (e, quindi, ai conseguenti prodotti alimentari) non solo rispettosa della biosfera ma in perfetta sintonia con tutti i fattori che caratterizzano gli ecosistemi.

La Sardegna, a motivo della sua particolare orografia, non può certamente competere, a livello quantitativo, con altre regioni italiane ed estere per le produzioni ortofrutticole e zootecniche (a parte i prodotti della filiera ovina).

Tuttavia, per il suo clima, l’ambiente, la storia, le tradizioni, le tecniche colturali, le competenze, ecc., produce (e potrebbe produrne quantità maggiori) una serie di prodotti alimentari di alta qualità non manipolati, in sintonia con la tradizione e la tipicità e attraverso una filiera estremamente corta dove è possibile realizzare la massima trasparenza e conoscenza tra i diversi soggetti della filiera (chi coltiva, chi trasforma, chi consuma).

In questo modo il valore aggiunto dei prodotti alimentari non è dato solo dalla qualità intrinseca (fondamentale!) ma anche (e in alcuni casi preminente!) dalla certezza della provenienza e di chi, eventualmente, lo ha trasformato, oltre al legame con la tradizione e la tipicità.

Emblematica è la filiera del grano. In alcuni territori della Sardegna, i diversi soggetti interessati, stanno “chiudendo” tutta la filiera.

Un progetto significativo è quello realizzato dal Parco Regionale di Porto Conte attraverso il quale si è fatto promotore di una iniziativa che potrebbe essere trasferita anche ad altre filiere: ha riunito diversi agricoltori della Nurra algherese (dei quali si conosce nome e cognome!) per coltivare una varietà di grano duro selezionata in Sardegna.

Tutto il grano ottenuto viene macinato da un molino di Alghero.

A questo punto la gran parte della semola ottenuta viene utilizzata da un panificio locale per ottenere il principale pane tipico algherese: il Pà Pugnat.

In conclusione, chi acquista il pane sa esattamente chi coltiva il grano (e come lo coltiva), chi lo trasforma in semola e chi trasforma la semola in pane.

In tal senso, allora, il mangiare non è soltanto un evento biologico (necessario!) e salutistico ma è anche un fatto culturale di appartenenza ad una terra e ad una tradizione.

Purtroppo mille motivi (economici, culturali, indifferenza a queste problematiche) spesso ci portano a scegliere prodotti anonimi di cui, appunto, non conosciamo assolutamente nulla del cammino dal campo al mercato.

Oggi tutto il sistema agroalimentare è messo in ulteriore crisi dall’epidemia causata dal coronavirus.

Ma se i grossi centri commerciali, grazie all’organizzazione delle grandi catene di distribuzione, stanno riuscendo a garantire l’approvvigionamento della maggior parte dei prodotti (fino a quando?), ben diversa è la situazione dei piccoli produttori, i quali portavano i loro prodotti prevalentemente nei piccoli mercati rionali e zonali, oggi vietati.

Di conseguenza molta produzione marcisce sui campi o nei magazzini.

Tuttavia, attraverso le difficoltà spesso si trovano nuove soluzioni: anche in Sardegna si stanno moltiplicando le Aziende Agricole o i piccoli negozi che garantiscono la consegna a domicilio dei loro prodotti.

E’ evidente che nessuno avrebbe mai voluto che si arrivasse a questo attraverso il covid-19, comunque credo che questo potrebbe diventare un nuovo modo di vendita dove il produttore si interfaccia direttamente con il consumatore e dove la consegna è l’ultimo atto di un processo che inizia con il dialogo (spesso telefonico) e la successiva conoscenza.

Chi compra non solo vede la persona di chi ha prodotto la verdura, i formaggi o altro, ma vede anche le mani che hanno realizzato e modellato quei prodotti e sente raccontare una storia che ha dato vita a ciò che noi mangiamo.

Personalmente mi auguro e auspico che dopo questi drammatici giorni questo tipo di vendita, anche se non determinata dalla necessità, possa continuare ad esistere (almeno per i prodotti identitari), e sentirci così tutti coinvolti nella fatica e nella speranza economica dei nostri territori.

L’emergenza coronavirus in questi giorni sta mettendo in evidenza un’altra grande contraddizione che coinvolge soprattutto le grandi aziende serricole: non si trova manodopera per la raccolta delle verdure ormai mature!

Finora questa operazione era garantita da schiere di migranti (spesso sfruttati!) i quali, per le giuste restrizioni imposte dall’epidemia, oggi non lo possono più garantire.

A questo punto notevoli quantità di prodotti vegetali rischiano di marcire per terra!

Eppure tanti nostri politici affermano che le attività produttive dell’Italia non hanno necessità delle prestazioni dei migranti.

A dispetto di tutte le barriere (fisiche e culturali) che l’uomo ha sempre cercato di porre tra se e i propri simili, il coronavirus ci sta insegnando che molti fenomeni non conoscono frontiere e che il mondo sta diventando sempre più piccolo dove l’uomo, se vuole continuare ad esistere, deve condividere con gli altri i doni che la nostra terra generosamente ci elargisce.


Giovanni Antonio Farris

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