Marco Pinna: “QUANTI DI VOI RICORDANO?”
Quanti di voi ricordano cosa hanno fatto venerdì 21 febbraio, ultimo giorno di quiete, prima di questa tempesta?
Personalmente sì, per una serie di coincidenze, ma verosimilmente per la maggior parte è stato un giorno come infiniti altri.
Però credo che ognuno di noi non abbia alcuna difficoltà a stilare l’elenco di quelle che allora erano le sue 5 priorità ( forse anche le 10…): ciò che riteneva più importante, cui pensava di più.
Che definiva il suo quotidiano, il baricentro del suo agire e pensare, il suo orizzonte esistenziale.
Progetti, sogni, desideri, ambizioni.
Quante di quelle priorità, di quei pensieri, di quelle aspettative sono oggi ancora al loro posto dopo appena quattro settimane? Quali sono oggi le prime?
Pazzesco vero?
Proviamo allora a dipanare insieme, almeno in parte, questa terribile matassa, questo groviglio di angosce e paure, per tentare di distillarne una possibile gestione.
Quanto avviene, quanto stiamo vivendo, ha un carattere planetario: possiamo tranquillamente definirlo un evento cosmico.
Se mettessimo nero su bianco le prime 5 aspettative al venerdì 21 febbraio di 10 persone prese a caso, a varie latitudini, scopriremmo differenze incredibili.
Se mettiamo insieme le prime 5 aspettative di milioni, forse miliardi di persone oggi, saranno tutte o quasi tutte le stesse.
Abbiamo vissuto nell’illusione di essere fuori dalla Storia, e ci siamo convinti che ciò ci spettasse di diritto.
Ma era appunto un’illusione, perché se avessimo guardato con attenzione la Storia avremmo avuto profonda cognizione che per tutte le generazioni passate non era mai stato così. Mai.
E l’illusione era ancora più fuorviante perché in realtà, a livello del micro cosmo individuale, la vita, in ordine sparso, prima o dopo resettava e avrebbe resettato comunque le aspettative di ciascuno di noi.
All’improvviso una perdita, una diagnosi, un incidente. Chi prima, chi poi.
Ma tutto questo nel quotidiano veniva rimosso.
Per la prima volta è stato rimosso dall’ordinario e quotidiano pensare.
Per la prima volta l’Umanità ha elaborato un modello di vita che l’ha condotta a perdere il contatto con la propria intrinseca fragilità, e soprattutto: a perderlo con il sacro.
Attenzione: il sacro non è necessariamente il religioso.
Ad esempio una bandiera è un simbolo sacro, ma non religioso.
Eminenti sociologi hanno definito il sacro un “elemento costitutivo della coscienza”.
Personale, ma, attenzione, anche collettiva.
Il sacro è quel qualcosa che definisce l’elemento identitario di una collettività, affinché possa risultare tale, essere tale e non semplicemente un aggregato di individui totalmente scollegati se non addirittura in conflitto tra di loro.
La tribù si definiva nella sua identità, nel riconoscimento e nella condivisione di valori (religiosi e non) che conferivano sostanza e significato ad un qualcosa che andava oltre le aspettative dei singoli, e che nel suo essere condiviso e da tutti coltivato, rappresentava il collante della tribù medesima.
Quel cemento che nel quotidiano e soprattutto nelle emergenze, Rappresentava l’argine, il sostegno. La possibilità di gestione.
Ad esempio già davanti alla sofferenza, alla malattia, alla morte.
Ad un certo punto, tutto questo è andato perso.
Potremmo collocare l’inizio di questa “rottura”, subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale.
Inizialmente, probabilmente, nel tentativo di rimuovere e superare il trauma che quella devastazione aveva comportato, poi successivamente con l’affermarsi di un modello culturale (?), che vedeva come perno dell’esistenza il mito della crescita economica continua.
Fateci caso: l’indicatore del benessere, diamo per scontato che sia l’andamento del PIL. Se cresce tutto bene, se diminuisce, siamo alla deriva.
Altro indicatore di “qualità” perseguito con accanimento: l’allungamento della vita media!
Dimenticando però di garantire anche un come che al quanto offrisse dignità in primis e quindi autentico valore.
Sia ben chiaro: l’economia, la lunga vita, ma certo che sono importanti, ma non è questo il punto. Tutto il benessere economico, tutte le conquiste della scienza, non potranno mai superare e annullare la nostra intrinseca fragilità.
A livello personale, ma anche collettivo, la transitorietà ci definisce. E invece ci siamo voluti convincere che il fine ultimo da perseguire fosse una felicità non meglio definita né definibile altro che dal “ più compro e posseggo meglio sto “, illudendoci che davvero ciò potesse conferire un senso se non annullare anche solo lenire la nostra transitorietà.
Quello che improvvisamente è cambiato il 22 febbraio 2020, è che mentre nel microcosmo di ciascun individuo fino a quel giorno prima o poi dolore, sofferenza, morte, sarebbero arrivati, lo si sapeva ma a livello collettivo si rimuoveva totalmente, all’improvviso, nel giro di poche ore, il velo dell’illusione è stato strappato.
E, prima volta assoluta nell’Umana Storia, questo è avvenuto e sta avvenendo non solo a livello planetario, ma soprattutto con una sincronia del sentire, che senza i social ed i media sarebbe stata ovviamente impossibile.
Sappiamo tutto (?), minuto per minuto, di tutti, di ogni angolo del mondo.
Sappiamo che questa immane sofferenza è ubiquitaria, non risparmia latitudine, censo, non vi è forma di ricchezza o livello di potere che ne renda immuni.
Eppure…
Manca quel qualcosa che solo potrebbe aiutare a trovare un senso, e quindi una possibilità di gestione.
Il senso di una profonda condivisione.
Che non può essere restituita da quelle 5 o 10 priorità che ci definivano, o meglio: da cui avevamo scelto di lasciarci definire fino al 21 febbraio.
Il nostro sguardo, il nostro sentire, troppo a lungo sono stati puramente orizzontali, avevamo completamente perso la dimensione verticale.
Quella delle profondità. E delle altezze.
Ecco perché, di conseguenza, la Società aveva completamente perso, per la prima volta nella Storia, la Cultura della sofferenza, e la Cultura della morte.
E ci siamo scoperti impreparati. Ma soprattutto soli, davanti a questa tragedia cosmica.
Avete presente la citazione, abusatissima, del vangelo di Matteo (7,6) “ non date le perle ai porci!”?.
Estremamente interessante.
Il maiale è un animale che grufola: nella sua ricerca di cibo, non scava, raccoglie solo ciò che trova in superficie: la sua dimensione è puramente orizzontale!
La perla è sempre nascosta, sempre “sotto”. Per trovare la perla, non basta grufolare.
La perla richiede la dimensione verticale, la profondità. E la profondità deve prima di tutto essere avvertita, ascoltata. E poi, percorsa.
Finirà tutto questo: “if winter comes can spring be far behind?” ( Shelley).
Perché è nella Cosmica Legge delle cose che finisca.
Non sappiamo quando, non sappiamo con quali costi, che saranno comunque certamente terribili, perché già lo sono.
Tra quel poco che possiamo, vi è qualcosa di immenso.
Possiamo scegliere cosa distillare da tutto questo.
In questa tragedia possiamo e dobbiamo trovare la chiave di una possibile elaborazione, che alla fine generi in noi quella trasformazione di cui abbiamo e avevamo bisogno.
Se riusciremo, in un Silenzio che riesca a diventare ascolto, ad aprirci a una dimensione diversa, profonda, verticale, che consenta alla Luce di offrirci quella rigenerazione che ci porti a superare il dove e il come eravamo.
Perché la vera Speranza, non è non può e non deve essere di tornare al “come prima”.
Altrimenti tutto questo dolore, sarebbe stato inutile, sprecato.
La vera Speranza, quella che può conferire senso, dignità e significato, è quella di riuscire ad andare oltre, andare al di là.
Realizzare un “salto di Ottava”.
Grazie e un sorriso a te che mi hai accompagnato fin qui.