23 aprile 1780: la carestia giunge all’estremo nella città di Sassari, ed il popolo, radunatosi nella Casa comunale per chieder pane, riceve insulti e scherno dalla soldatesca.
Un misero padre di famiglia, che piangeva per aver lasciato a casa i cari figli oppressi dalla fame, fu brutalmente percosso nel petto col calcio del fucile. Il grido acutissimo di costui fu scintilla agli schiamazzi. Al gemito del dolore susseguiva il fremito dell’indignazione.
Si accese l’ira in tutti i cuori: il manesco fu prostrato e calpestato: i compagnoni che lo voleano difendere furono aspramente disarmati, picchiati e fugati.
Si corre allora al palazzo municipale ponendo a sacco tutti gli arredi e le masserizie, lacerando e incendiando le scritture: si saccheggiano case private, e dappertutto si depreda senza ritegno e senza contrasto, non essendo più possibile alle autorità di frenare la furibonda moltitudine. Il maggiore della piazza, comeché caro a tutti per la sua bontà, sarebbe caduto sotto l’ira dei rivoltosi se non gli veniva aperto un asilo.
Il governatore Maccarani, stimandosi più rispettato da quella plebe, osa presentarsi con altre genti d’arme; ma concitandosi, alla sua vista, più ferocemente gli animi, sarebbe stato soppresso senza la magnanimità di alcuni ufficiali e soldati che lo coprivano coi loro corpi. Sperò un sicuro rifugio nella chiesa di S. Caterina, ma salendo i gradini udiva forte il fischiar delle palle, più furiosi i clamori, e orrenda suonar da molti l’empia minaccia di svenarlo a piè degli altari; e sarebbe accaduto l’orrendo sacrilegio se un uomo rispettabile e caro a tutti, D. Giambattista Isolero, giudice della R. Udienza e già assessore nella R. Governazione, opponendosi con fermo coraggio, non avesse contenuto quel furore colla sua forza persuasiva.