Intervista con l’autore: Fiorenzo Caterini
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe ’65. Scrittore, antropologo e ambientalista, autore dei due libri “Colpi di scure e sensi di colpa” (2013), un saggio storico e antropologico sulla storia del disboscamento della Sardegna, e “La Mano destra della storia” (2017), sul problema storiografico sardo, entrambi pubblicati con l’editore Carlo Delfino.
Fiorenzo è stato peraltro un eccellente sportivo, avendo vinto titoli sardi nel mezzofondo in atletica e nel triathlon, e ancora oggi si impegna in escursioni e negli sport all’aria aperta.
Riceve il Premio Siro Vannelli nel 2013 per il libro “Colpi di scure e sensi di colpa” per la “divulgazione della cultura ambientale e forestale in Sardegna”.
Conquista il titolo di “libro dell’anno” nella sezione “saggistica” della XII edizione del Premio Letterario Osilo 2018 con “La mano destra della storia”.
Blogger di successo da anni scrive per “Sardegnablogger.com” di cui è anche redattore ed è presente quotidianamente nei Social; ma soprattutto è presente nel territorio della Sardegna, e non solo, dove ha tenuto circa 200 incontri focalizzati sui suoi due libri e sulle tematiche affrontate.
Nel 2020 esce la quinta ristampa di “Colpi di scure sensi di colpa”, un grande successo che l’ha visto occupare, per diversi mesi, il terzo posto nei bestseller Amazon sezione ambiente.
• Il tuo primo libro è alla quinta ristampa, il secondo alla terza, un successo pienamente meritato, cosa provi?
Una bella e strana sensazione deriva dall’aver scritto un libro che ha venduto cinquemila copie (Colpi di scure e sensi di colpa) ed è conosciuto da tante persone, ambientalisti e appassionati. È come un figlio che ha preso il volo e viaggia per suo conto, non sai chi incontra ma sai cosa lascia al suo arrivo. Ho ricevuto critiche positive e recensioni entusiastiche che hanno dato un ritorno oltre ogni previsione iniziale. L’unico cruccio è l’ostilità che non mi aspettavo, da parte di alcuni main-stream, ma anche questo rientra pienamente nella normalità. Le critiche positive sono comunque talmente tante che sono sufficienti per farti sentire gratificato. Prova ne è il numero di copie vendute e gli inviti che ancora ricevo per parlarne nei diversi centri della Sardegna. Questo mi rende sempre più consapevole dell’utilità dell’opera e posso dire che a 7 anni dalla pubblicazione è diventata un “classico”, un riferimento nel suo genere, perché le vendite e le richieste di presentazioni restano costanti, un’onda lunga. Questo chiaramente dà soddisfazione.
• Il sottotitolo “Storia del disboscamento della Sardegna dalle origini a oggi” non rende piena giustizia all’immenso lavoro di ricerca e narrazione che partendo da un’inchiesta, affronta la storia del bosco in Sardegna. Ciò che dico sempre è che hai avuto la capacità di “restituire” un tassello mancante nella memoria collettiva della Sardegna, quello del bosco che è stato abbattuto con “colpi di scure” che hanno generato “sensi di colpa” talmente forti da sradicarlo anche dalla nostra memoria. Qual è la domanda che ti viene rivolta più spesso da parte dei lettori nei tuoi numerosi incontri?
Questo libro l’ho scritto perché ad un certo punto mi sono reso conto che stava scomparendo la memoria di quello che era successo. Dopo Paese d’ombre di Giuseppe Dessì, che nel ’70 trattava questo argomento riportandolo alla luce, si stava cominciando a preferire una narrazione negazionista; così mi sono assunto il compito di far sì che ciò non accadesse.
Le domande che più di frequente mi vengono rivolte sono riferite all’attualità e in realtà sono domande che dovrebbero rivolgere più ai politici che a me. Infatti, io ho fatto uno studio, ho evidenziato delle problematiche ma non posso attuare delle soluzioni alle tante problematiche che ho analizzato. Un’altra domanda che mi fanno spesso è quella del bosco attuale, travisando forse la situazione attuale che non è quella di una crisi del patrimonio boschivo, al contrario, è quella di una ricrescita del bosco, dovuta ad un fattore purtroppo negativo che è l’abbandono dell’agricoltura. L’immaginario collettivo tende un po’ a semplificare il rapporto tra l’uomo e il bosco, mentre io nel mio libro cerco di supportarlo con elementi di riflessione. Quindi la domanda che mi fanno spesso è “com’è oggi il bosco in Sardegna, cosa possiamo fare per ricostituire il patrimonio boschivo” alle quali rispondo con argomentazioni più elaborate e accurate perché richiedono una risposta più ampia di quanto potrebbe sembrare a prima vista.
Nel libro catturi l’interesse del lettore sin dalle prime righe, che imposti come un’inchiesta di dimensione regionale, fino alle ultime, in cui tratti l’argomento a livello globale, “disboscare il mondo”. Conduci il lettore in una nuova visione della storia della Sardegna, in cui gli avvenimenti vengono cuciti insieme con un insolito filo, quello del bosco, utilizzato per cucire, come Maria Lai, singoli avvenimenti che hanno trasformato la nostra Isola. Sarebbe quindi riduttivo definire questo lavoro come la storia del disboscamento della Sardegna, quanto piuttosto questo argomento diventa il filo conduttore per comprendere “le storie” che hanno trasformato la nostra terra e cancellato dalla nostra memoria l’ambiente originario.
• Dopo il successo del primo libro, nel 2017 pubblichi con l’editore Delfino un nuovo libro, una nuova inchiesta, “La mano destra della storia”, che pur nascendo da un fatto concreto, per certi versi è il seguito del primo laddove il leitmotiv è sempre quello di affrontare la verità storica, in questo caso contro l’oscurantismo della storia sarda. Perché questo titolo e che relazione c’è tra i due libri?
La relazione tra i due libri è molto forte e va sul filo della memoria; in realtà il secondo libro è il prosieguo del primo che non è solo sul disboscamento della Sardegna. È un libro antropologico, è il disboscamento anche della memoria, della memoria collettiva, è anche un disboscamento morale, che deriva dalla perdita di alcune funzioni antropologiche che avevamo un tempo e che erano armonizzate con la natura e con il bosco.
In realtà il secondo libro doveva essere indirizzato ad una visione più economica della situazione sarda attuale, cioè l’idea che appunto col disboscamento ci si era infilati in un tunnel economico, “la dipendenza dal sentiero” la definiscono i sociologi, cioè il tunnel di logica coloniale che prevedeva per la Sardegna lo sfruttamento delle risorse e delle materie prime. Io volevo spiegare tecnicamente quello che intuitivamente molti sardi sentono, il rapporto di tipo coloniale, di subalternità, di dipendenza economica da altre zone geografiche dell’Italia e non solo. Mentre studiavo il fenomeno, mi sono reso conto che l’aspetto più importante era dentro di noi. In realtà era il vuoto che noi avevamo come sardi e che veniva alimentato continuamente dalla “mano destra”, la mano ufficiale del sistema culturale, intellettuale e storiografico. Quindi parlare della storia della Sardegna, del problema storiografico sardo, di cui ancora nessuno a livello di studiosi ufficiali aveva parlato, significava da una parte colmare questo vuoto e dall’altra restituire alla storia europea una parte mancante della storia. Ho cercato di capire il motivo di questa assenza, senza entrare nel merito della storia quanto in quello della storiografia, la quale è soggetta a pesanti condizionamenti di natura nazionale, politica ed economica.
• Qualcuno ti ha definito il globetrotter delle presentazioni, ad indicare la tua assidua presenza nel territorio. Il tuo voler entrare in contatto con il pubblico, che denota una forte volontà di trasmettere personalmente il risultato dei tuoi studi, che hai riversato nei tuoi due libri. Ti ritrovi in questa definizione e quanti “incontri” hai fatto finora?
Qualcuno? Diciamo che è il mio editore, Carlo Delfino, che mi accoglie sempre con queste definizioni molto colorite perché effettivamente è sorprendente il numero delle richieste che ho per presentare entrambi i miei libri. Colpi di scure, che è uscito nel 2013, me lo chiedono ancora con insistenza. Ho perso il conto del numero di presentazioni. Tra tutti e due i libri posso dire di aver raggiunto o superato di poco i 200 incontri. Questa definizione è comunque anche troppo generosa nei miei confronti, perché in realtà io sono soltanto il servo dei miei libri. Io corro dietro ai miei libri, mi scappano via da tutte le parti e io non faccio altro che inseguirli, brillano di luce propria, sono animati da una propria vita, io li ho creati mettendoci dentro il meglio di me stesso per questi due argomenti che reputo molto interessanti per la Sardegna e loro mi stanno portando in giro per la Sardegna facendomi conoscere luoghi e persone eccezionali. Quindi io sono grato a queste mie due creature. La definizione che più mi ha colpito è quella di un mio lettore (tra tutti i complimenti che ho ricevuto), un architetto sardo che vive a Torino da tanti anni, scrive poesie e altro sulla Sardegna cui è molto legato. Durante un incontro mi ha detto “avevo due sogni, scrivere un libro sul disboscamento della Sardegna e uno sull’oscurantismo della storia sarda. Li hai scritti tu, sono esattamente quello che volevo venisse scritto quindi non posso che essertene grato”. Aver colmato questo “vuoto” mi ha gratificato, mi ha reso consapevole e orgoglioso, ed è questa sicuramente la sintesi più bella del mio andare in giro per la Sardegna.
• Non solo Sardegna
Vero. Sono stato invitato più volte fuori dalla Sardegna e quando è stato possibile ho accettato. Ho parlato dei miei libri a Parigi, a Roma, a Torino; in particolare ho avuto modo di conoscere un mondo davvero interessante, che è quello dei circoli dei Sardi in Italia.
• Il secondo libro tratta un argomento ancor più difficile ma anche qui hai trovato il modo di entrare in un settore importante per la sua diffusione con il nuovo progetto “La maestra muta”, di cosa si tratta?
La Sardegna da questo punto di vista è una terra straordinaria perché ha tantissimi appassionati di storia, della nostra storia, della storia antica della Sardegna. Questo è un vantaggio per chi scrive libri come i miei. Non mi considero particolarmente bravo come promotore di me stesso, ma se ho un merito, è quello di fare il possibile per non annoiare le persone durante le presentazioni, di non parlarmi addosso, di mantenere un contatto emotivo con il pubblico; peraltro ho cercato di scrivere questi libri, sì difficili come dici, ma in una forma narrativa semplice e divulgativa, arricchendola con aneddoti e cose che possano stimolare il lettore.
La maestra muta è un progetto che nasce dai CESP COBAS Scuola Sardegna, ispirato anche dai miei lavori, che cerca di portare in giro per la Sardegna nei seminari per insegnanti il problema storiografico sardo. C’è un’esigenza da parte della scuola di ogni ordine e grado di insegnare la storia sarda. Per far questo bisogna prima capire perché è uscita fuori dalla storia ufficiale, perché manca nei programmi ministeriali, nei libri di testo e quando c’è è manipolata, riduttiva e talvolta sbagliata. Quindi c’è la necessità di dotare gli insegnanti, che stanno davvero accorrendo numerosi e con grande interesse e partecipazione ai nostri seminari degli strumenti per capire innanzi tutto le motivazioni di questa situazione e poi impartire le lezioni agli studenti nel merito della storia sarda.
• Cosa rispondi se ti chiedo “può essere che il Sardo abbia una paura atavica di credere in sé stesso quasi un timore reverenziale di vedere il proprio valore?
In realtà c’è un conflitto sociale in corso su questi argomenti. Questa paura atavica esiste ma è tipica in tutti i popoli subalterni soggetti a pressioni psicologiche che li rendono succubi; la definizione più appropriata, che ripeto sempre, è quella di Placido Cherchi, la vergogna di sé. È vero, questa paura atavica c’è, è tipica dei popoli che si sentono schiacciati da un destino negativo, che sentono di aver perso molte cose, una forma di fallimento del proprio ruolo nel mondo. Noi sardi abbiamo questa vergogna, questa subalternità culturale ma io la motivo, la spiego con gli strumenti dell’antropologia culturale. Non dire come si è arrivati a questa subalternità non solo economica ma anche culturale non ha molta profondità. Ho cercato di dare ai miei libri la giusta profondità per spiegare come nascono questi meccanismi, queste modalità culturali.
• Quanto ripaga dalla fatica del percorrere in lungo e in largo la Sardegna, il successo rimarcato dalla quinta edizione del tuo primo libro.
Si, però alla fine è più faticoso scrivere il libro (sorride). Quando vai nei luoghi e nei paesi della Sardegna e ti accolgono, conosci persone veramente in gamba, si attivano dibattiti davvero interessanti sugli argomenti trattati e poi si finisce a mangiare e bere cose buone beh … si … d’accordo è una grande fatica, però diciamo che la fatica è ripagata dai rapporti umani che si instaurano, dalla bellezza di conoscere i luoghi, di mangiare cose buone che noi sardi sappiamo fare. Sì, dai, io che ho fatto il triathlon molto faticoso e bello posso fare un’analogia: questa è la gara, il momento dell’ansia ma anche della gratificazione e del divertimento; l’allenamento è stato quando ero soffocato dai testi e dai libri e scrivevo. Scrivere il libro, quando lo si fa con il massimo dell’onestà intellettuale, cercando di raccogliere tutte le informazioni e i diversi punti di vista possibili, quando si fa lo sforzo (non dico di esserci riuscito ma lo sforzo l’ho fatto), tutto questo è il lavoro pesante, come un allenamento di triathlon molto, molto pesante. Quando vai in giro per i luoghi e i paesi a conoscere le belle persone è come raccogliere il frutto della propria fatica.
• Quindi in attesa del terzo libro ti vedremo ancora attraversare l’intera Sardegna.
Il mio terzo saggio dovrebbe trattare il tema del pensiero identitario in Sardegna. Nel frattempo, però, sto scrivendo un romanzo a sfondo neuroscientifico, vorrei spiegare il pregiudizio e il razzismo su basi scientifiche attraverso il racconto. Per il resto… sono ancora sulla cresta dell’onda, finché dura.