PANDEMIA DI COLERA: così nacque il carcere di Buoncammino

PANDEMIA DI COLERA: così nacque il carcere di Buoncammino

La grande pandemia di colera fu la causa della localizzazione del carcere di Buoncammino in uno dei più bei colli della città di Cagliari.

Chissà cosa emergerà tra un secolo a chi studierà il periodo che stiamo vivendo: la pandemia da Coronavirus.

Probabilmente ne parleranno come la maggior parte di noi parlano delle due devastanti pandemie precedenti, quelle della peste e del colera, con rapporti numerici e di incidenza sull’economia e sulla popolazione, senza entrare nel vero problema che oggi tutti viviamo e che, sicuramente, vivevano le persone che si trovarono faccia a faccia con gli altri due nemici invisibili: la perdita della libertà nel presente e il furto della progettualità per il futuro.

Questa guerra, perché di guerra si tratta, ci ha rubato la pulsione principale della nostra esistenza, quella che è pienamente rappresentata nella nostra genitorialità. La genitorialità è una catena di trasmissione familiare, la grande radice che rappresenta, sotto certi aspetti, la base essenziale per la costruzione del futuro dell’umanità.

Ad ogni generazione questa grande radice si ingrossa sempre più e le sue gittate fuori terra si proiettano verso un futuro sempre più lontano. Lontano ma progettabile almeno nella sua essenza. Oggi questa progettualità sta venendo meno e la nostra pulsione naturale vacilla, creando panico e stress da combattimento.

E’ la resilienza attiva a determinare i cambiamenti che fanno la storia e solo nel nostro futuro si potranno apprezzare e valutare i “cambiamenti” che dipenderanno dalle sofferte scelte di oggi.

Al di la’ del muro. Buoncammino. Alla scoperta dell’ex carcere di Cagliari.

Cosa c’entra l’ex carcere di Buoncammino con le pandemie?

Molto, perché la scelta della sua localizzazione, negli anni ’50 del 1800, nel più bel colle della città di Cagliari fu fatta per contrastare la diffusione del colera.

Scelta provvisoria ma, come spesso accade, da lì a poco divenne definitiva.

Erano gli anni in cui in tutta l’Europa si diffondeva in modo grave e veloce il morbo del colera, tanto da poter parlare di vere e proprie pandemie.

Nella prima metà del 1800 l’Europa subì tre devastanti ondate pandemiche (sulle 9 totali): 1835-37, 1854-55, 1865-67. Nella penisola italiana il colera comparve per la prima volta nel 1835 nel Regno di Sardegna, probabilmente portato per via di mare da contrabbandieri entrati nel Regno dopo aver infranto il cordone sanitario.

Come la peste il colera ebbe un grande impatto socioeconomico e sanitario sulla popolazione, per l’altissimo tasso di mortalità e letalità ma anche per l’enorme interesse suscitato tra amministratori e scienziati di allora. Che, a ben guardare e con strumenti differenti, è quanto registriamo anche oggi con il coronavirus.

Per arginare la pandemia di colera furono elaborate azioni di controllo e prevenzione anche da parte della Commissione Sanitaria del Regno di Sardegna.

A tali controlli non si sottrasse la città di Cagliari, dove si operò al fine di verificare eventuali focolai del morbo ed individuare le zone più soggette a rischio, tra queste ultime le Regie Carceri occupavano il primo posto, poiché in esse la popolazione detenuta si trovava ristretta in sovrannumero in condizioni igienico sanitarie davvero precarie.

La Torre di San Pancrazio alla fine del 1800, prima che lo Sano la riportasse alla sua veste originaria. Così chiusa fu, dalla metà del 1500, per quattro secoli, unita agli altri ambienti circostanti, il principale carcere cittadino.

I detenuti erano, allora, distribuiti nel principale carcere cittadino, il complesso di San Pancrazio e nelle carceri succursali, la Torre dell’Elefante e dell’Aquila destinata principalmente ai prigionieri politici e l’Ergastolo della Darsena, a queste carceri (con una capacità dichiarata di circa 550 individui) si aggiungeva il Bagno penale di S. Bartolomeo che dal 1842 ospitava i detenuti destinati ai lavori forzati.

Esiste un carteggio molto interessante tra l’Intendenza Generale e il Municipio di Cagliari, dal quale si comprende l’evolversi della situazione che portò ad individuare il bellissimo e panoramico colle come sede del carcere succursale, poi diventato il definitivo carcere di Buoncammino.

Così fu descritto dal Valery “La passeggiata di San Lorenzo, anche se stretta e senz’alberi, ha la migliore aria e la veduta più bella della città. Le torri, il mare, gli stagni, le montagne singolarmente frastagliate, i numerosi paesi vicini presentano un aspetto magnifico, straordinario”,

La città di Cagliari viveva una situazione estremamente precaria, dominata dal terrore della diffusione del colera, allo scopo furono istituiti diversi ospedali succursali in cui trasferire i colerosi, tra essi anche alcuni detenuti di San Pancrazio.

Da questi primi casi nella situazione di precarietà igienico-sanitaria e di sovraffollamento delle carceri, si temeva che da lì a poco gran parte dei detenuti potesse esserne colpito. Ma soprattutto si temeva che il carcere fosse il possibile luogo di diffusione del morbo nella popolazione civile. In realtà trovandosi all’interno delle mura cittadine era un timore fondato.

Il carcere succursale fu quindi edificato per decongestionare la situazione nelle esistenti Regie carceri, in primis quella di S. Pancrazio, per evitare che da lì il colera potesse diffondersi nella città.

Il 1854 fu l’anno di azioni congiunte tra le forze militari e civili, finalizzate a trovare una soluzione per arginare eventuali focolai di contagio e, finalmente, il 9 novembre 1854 fu presentata una relazione “per l’approvazione del contratto relativo all’appalto delle opere da eseguirsi nel locale di Buoncammino (…) adattarlo a carcere succursale (…)” tale locale, “occupato da una parte delle truppe di guarnigione in questa città per la difesa della Caserma Carlo Alberto” risultava il “più appropriato”.

La lettera R indica l’antica polveriera in cui era alloggiata una parte delle Truppe Reali di guarnigione alla Caserma Carlo Alberto. Questa fu la base del carcere succursale.
Stralcio del “Piano Militare della fortificazione e posizioni circonvicine di Cagliari.

Fu quindi ottenuta l’autorizzazione a procedere da parte dei Ministri della Guerra e dell’Interno, con l’impegno di “restituire” il locale ceduto con altro locale adeguato.

I locali disponibili in quel difficile momento non erano tanti, la Commissione Sanità ne individuò due come idonei sia per la restituzione del bene ceduto che per la costruzione dell’ospedale succursale, per affrontare la possibile epidemia di colera (Cagliari subì una grave epidemia soprattutto negli anni 1854-55 e 1866-67).

Tali locali erano i conventi di Santa Rosalia nella Marina e dell’Annunziata in Stampace.

L’Intendente scrisse al Sindaco, il 2 agosto 1854, per accertarsi quale dei due fosse ancora libero, ossia non utilizzato come ospedale succursale, affinché potesse essere utilizzato come bene da restituire e in cui alloggiare le truppe regie “sfrattate” dall’antica polveriera.

Comunque, il bene era stato acquisito per adattarvi il primo vero carcere cittadino che fu costruito in tempi da record, visto che l’8 giugno del 1855 l’Intendente generale comunicò al Sindaco di Cagliari l’imminente trasferimento dei detenuti nel nuovo carcere di Buoncammino che, si precisava, a causa del suo isolamento deve essere controllato da un Corpo di Guardia militare.

Che fosse una situazione transitoria è ben chiarito in una serie di documenti del periodo.

In una lettera del Ministero dell’Interno all’Intendente Generale di Cagliari, del 23 novembre 1854, si afferma che il locale di Buon Cammino viene adattato come carcere succursale ma che “come è pur noto all’Intendente Generale di Cagliari tale occupazione non è che provvisoria”.

Il carcere succursale aveva una capienza di circa 100 detenuti come da relazione dell’ingegnere capo del 23 settembre 1854, inoltre nella nota della Regia Segreteria di Stato delle opere autorizzate per le carceri di Cagliari per tutto l’anno 1854, al punto 12 è specificata la cifra di L. 6.984, utilizzata per l’” adattamento del locale di Buoncammino”, su un totale di L. 32.846 spese dal Ministero per le carceri di Cagliari, cifra che superava di gran lunga quella degli altri Stati di Terraferma.

Il 2 luglio 1855 il nuovo Carcere succursale di Buoncammino entrò in attività come anticipò l’Intendente al Sindaco di Cagliari in una lettera datata 29 giugno 1855: “Lunedì giorno 2 dell’entrante luglio saranno posti in attività le Carceri di Buon Camino“.

Su questo primo nucleo – provvisorio – si costruì il definitivo carcere di Buoncammino che tutti conosciamo.

Il carcere di Buoncammino in una cartolina di fine ‘800, che evidenzia le terribili bocche di lupo che fino al 1986 hanno caratterizzato la giornata dei detenuti, permettendogli di vedere solo il cielo.

Lo spazio urbano è, quindi, una “stratificazione di segni” posti nelle diverse epoche storiche e che hanno fatto diventare la città ciò che è oggi.

E’ importante “leggere” la città perché ci restituisce tutta la storia umana e quindi la nostra storia.

Oggi forse possiamo capire di più la scelta fatta per Buoncammino, nata dall’esigenza nel presente di allora di arginare un nemico invisibile che mieteva tante vittime, trasformando i luoghi della quotidianità in terreni di guerra.

Susanna Piga

Susanna Piga, laureata in Scienze Politiche, ha conseguito un Master in Economia e Marketing del turismo. Appassionata di Digital Marketing, di Social e delle nuove tecnologie di comunicazione. Fotografa e scrittrice. Ha pubblicato con Carlo Delfino editore "Cagliari scritta con la luce" e "Al di là del muro. Buoncammino. Alla scoperta dell'ex carcere di Cagliari".
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