Alla ricerca d’imprenditori di successo.

Alla ricerca d’imprenditori di successo.

Sardi ed imprenditori, per quel che consta, è rimasto per lungo tempo quasi un ossimoro, nel senso – va chiarito – che si era affermata e diffusa nell’isola la convinzione che le attività d’impresa, con i loro profitti ed anche con i loro rischi, fossero incompatibili ed inconciliabili con la cultura materiale e l’anima identitaria dei sardi. Che dovevano rimanere legate ancestralmente a quelli che erano i valori aurorali d’una società naturale. In cui – andrebbe aggiunto – anche il denaro, e con esso l’arricchimento, doveva essere bandito come “robba ’e su tìaulu”, roba del diavolo.

Anche per questo, per dirla con gli storici degli Annales, la Sardegna sarebbe rimasta un angolo sperduto nella storia d’Europa, prigioniera d’un tempo rimasto immutabile da secoli. Non diversamente l’avrebbero descritta, nei loro tour sardi, Lawrence e Vittorini, impressionati, ed anche per un certo verso ammirati, d’aver messo piede in una terra e in una società rimaste allo stato d’infanzia. Non a caso i valori della resistenzialità al progresso, ed alle influenze esterne, oltre che all’attaccamento al conosciuto (“a su connottu”), come ereditato dagli avi, sarebbero rimasti per lungo tempo, anche perché influenzati da un’esuberante intellettualità “de su cuile”, intangibili ed inalienabili.

Questa che potrebbe definirsi come una maledizione del passato, influenzerà e condizionerà anche la nostra storia contemporanea, tanto che l’economia, cioè l’insieme delle attività d’impresa, sarebbe rimasta al di fuori degli interessi di studiosi, accademici ed appassionati di casa nostra.

Non a caso, anche le stesse vicende delle imprese minerarie, che in Sardegna avrebbero avviato, da metà ’800, con una stagione di grandi successi l’età del capitalismo industriale, verrà raccontata quasi esclusivamente dalla parte delle maestranze coinvolte e solo marginalmente da chi le avrebbe realizzate. Così si sarebbe letto tanto di Giuseppe Cavallera (che fu leader delle leghe operaie) e assai poco (e con molte gratuite cattiverie) di Giovanni Antonio Sanna a cui si dovrà proprio l’avvio della moderna industria mineraria sarda. Come se nella storia militare non si dovessero illustrare nomi e gesta dei generali vittoriosi, ma solo la consistenza ed il coraggio degli eserciti in campo.

Per dirla in breve, dei protagonisti della nostra storia economica se ne sarebbe saputo sempre assai poco. Talvolta neppure il nome. E quel poco, per la verità, verrà condito con molta acredine e malevolenza, per cui imprenditore diverrà, nella vulgata popolare, sinonimo di imbroglione e speculatore, se non di qualcosa di peggio.

Si sarebbe trattato di una sorta di allergia ideologica, un misto di diffidenza e di ostilità preconcette , nei confronti del nuovo e del diverso. Sostenuto – andrebbe aggiunto – da un ambiente socio-culturale rimasto lungamente cieco ed ostile nei confronti di quei pochi pionieri del capitalismo imprenditoriale.

Così, ancora negli anni ’60 del secolo scorso l’opinione locale prevalente indicava quegli industriali minerari, giunti dall’al di là del mare, come dei veri furfanti, degli abili rapinatori di quelle ricchezze che il Padreterno ci aveva donato perché le si custodisse, intatte, nel sottosuolo.

Proprio in quegli anni mi ritrovai, fra i vecchi libri di mio nonno, un libretto scritto da Ignazia Sanna per ricordare la grande figura di pioniere e di imprenditore di suo padre Giovanni Antonio, che l’invidia ed il malanimo di ingrati generi e di pseudo amici aveva cancellato e sepolto.

Fu proprio la curiosità ispiratami da quel ricordo filiale a motivarmi nel volerne sapere di più. Ed a farmi stupire che di lui si sapesse assai poco, se non qualche ricordo, non sempre benevolo, sulle pagine dei quotidiani locali.

Con la pazienza dell’archeologo e con la costanza del ricercatore cercai di ritrovare le trame di quel suo essere stato – come risultava – il primo a sviluppare nell’Italietta d’allora un’industria mineraria di taglio europeo per capacità tecniche e per volumi di produzioni. Di quelle prime tracce ne scrissi alcune pagine  nel 1990, in un mio saggio dedicato ai capitali coraggiosi che industrializzarono l’isola, indicandolo come l’archetipo felice dell’imprenditoria sarda nel tempo del capitalismo economico.

Qualcosa di nuovo e d’importante sarebbe avvenuto sei anni dopo, in occasione delle manifestazioni per il centenario dell’Associazione Mineraria Sarda, a cui, insieme al professor Ilio Salvadori, mi impegnai perché vi partecipassero alcuni discendenti del Sanna, sparsi fra Roma, Lucca ed il Cile.

Con loro si concordò di far rientrare finalmente in Sardegna le memorie documentali della loro presenza alla guida di Montevecchio durata 85 anni (1848-1933). Che erano rimaste custodite e nascoste in una cantina d’una loro villa toscana.

Si dovrà proprio alla generosa disponibilità di Salvadori, se quel rientro nell’isola ed il suo ricovero, per curarne il riordino e la fruibilità, tornasse a Montevecchio, nella miniera che fu sua.

Fu questa l’occasione per dare alla mia curiosità il suo migliore e maggiore campo d’indagine. Così iniziarono i miei viaggi trisettimanali Cagliari-Montevecchio, dove con la preziosa assistenza di un ex dipendente della miniera (il caro Elvio Pani), potei immergermi in un tesoro di documenti, lettere, foto, atti giudiziari, fascicoli e opuscoli vari.

S’andava avanti, aprendo scatoloni e faldoni, di sorpresa in sorpresa, con un personaggio che disvelava in quelle carte d’essere stato non solo un importante imprenditore ed un protagonista del nostro Risorgimento nazionale, ma anche un delicato ed elegante letterato.

Con Pani infatti non riuscimmo a nascondere lo stupore e la commozione allorché trovammo una sua struggente poesia dedicata “al bimbo mio rapitomi nel gennaio del 1843 da improvvisa morte”, aprendo così una pagina nascosta della sua vita familiare in cui la discendenza conosciuta era sempre rimasta tutta al femminile: dalla moglie Marietta Llambi alle figlie Ignazia, Amelia, Enedina e Zely.

O quando ci passarono in mano le lettere di Giuseppe Mazzini indirizzate al “caro fratello”, grato per gli aiuti finanziari alla sua Giovine Italia.

Mi ero così trovato di fronte ad uno di quegli uomini eccezionali la cui vita pare proprio un romanzo. Perché il succedersi delle sue vicende, di segno positivo o negativo, paiono uscire dalle pagine di un Charles Dickens o di un Thomas Mann, i grandi romanzieri dello spirito e delle gesta dei capitalisti ottocenteschi.

Così pensai di trasferire tutta quella mia curiosità sul personaggio in uno scritto che fosse insieme, come meritava, biografia e romanzo, con l’attenzione e la regola ferrea di non scantonare mai dalla verità fattuale.

Man mano che lo scritto procedeva nel mio PC, s’infittivano anche i colloqui con l’editore, nell’intento di dare a questa figura la giusta collocazione nella nostra storia regionale.

Fu proprio Carlo Delfino, con le sue intuizioni d’editore illuminato, di volere che questa biografia di Sanna rappresentasse l’avvio di una collana storica dedicata ai grandi dell’imprenditoria in Sardegna. Dandomi l’incarico di promuoverla e curarla.

L’obiettivo era quello di liberare dalla dimenticanza quanti in Sardegna avevano fatto impresa con successo, smentendo così quell’avvilente ed ingiusto giudizio (o pregiudizio?) d’essere noi sardi privati del gene dell’imprenditorialità. E di essere stati così alla mercé di astuti e spregiudicati “prenditori” forestieri.

 Con “L’Uomo di Montevecchio” si dette così inizio ad una nuova pagina della storiografia isolana, rimediando ai colpevoli silenzi ed alle pretestuose omissioni del passato. Seguendo la traccia indicata da un grande storico dell’economia come Valerio Castronovo che senza la storia dei suoi protagonisti non ci può essere storia dell’economia.

Così, insieme a Sanna, si ridiede visibilità storica a personaggi come Franceschino Guiso-Gallisai, Salvatore Azzena, Giovanni Sebastiano Pani, Francesco Zedda-Piras, i fratelli Pinna, Alberto Castoldi e Gavino Clemente in una serie di biografie che hanno ricordato l’importanza delle loro imprese vincenti.

Paolo Fadda

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